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Il “caso Mortara”

Edgardo Levi Mortara fu un ebreo, nato nello Stato Pontificio sotto il regno del beato Pio IX, cui capitò una sorte particolare, alla quale però egli rispose in maniera inaspettata e assolutamente non gradita dai suoi ambienti di origine e dal mondo dei poteri forti e “mediatici” del tempo (e di oggi).
Edgardo nacque a Bologna il 27 agosto 1851. I Mortara, contravvenendo alle leggi dello Stato Pontificio, avevano alle loro dipendenze una domestica cattolica, la quattordicenne Anna Morisi, la quale, essendo il neonato in pericolo di vita, decise di sua sponte di battezzarlo in articulo mortis.
Nel 1858, per una serie di coincidenze, il fatto divenne pubblico: un cattolico stava vivendo e crescendo come giudeo. Intervenne, in base alle leggi dello Stato – che impedivano che un cattolico potesse essere cresciuto ed educato da non cattolici – e per ordine del Santo Uffizio, la polizia, che di fatto il 23 giugno 1858 privò i genitori di Edgardo della patria potestà, prelevò il bambino e lo condusse a Roma, ove potesse crescere da cattolico.
La vicenda divenne di dominio pubblico a livello internazionale, e ovviamente Cavour e soci ne approfittarono per screditare agli occhi del mondo il Potere Temporale e Pio IX, il quale, essendo venuto a conoscenza dei fatti, aveva avallato la decisione di far crescere Edgardo cattolico, a costo di toglierlo ai genitori. Proteste vennero da tutta Europa, dalle cancellerie di molti Stati e anche da ambienti cattolici, ma Pio IX rimase fermo sulla sua posizione, pur sapendo quanto questa sua decisione avrebbe fatto il gioco della propaganda antipapale e anticattolica degli unitaristi italiani. E infatti ancora oggi se ne parla, al punto che durante il processo per la beatificazione di Pio IX questo fu uno degli argomenti critici di cui si avvalsero gli avversari – non solo politici ed esterni alla Chiesa ma anzitutto quelli interni – della beatificazione stessa. E, addirittura un regista come Spielberg ne ha voluto fare un film.
Ma in tutta questa storia c’è un risvolto inaspettato, come dicevamo in apertura, e siamo proprio curiosi di vedere se Spielberg avrà l’onestà di rappresentarlo correttamente nel suo film (ne dubitiamo, ovviamente).

La sorpresa
Edgardo venne educato presso la Casa dei Catecumeni, istituzione nata a uso degli ebrei convertiti al cattolicesimo, e divenne sinceramente cattolico al punto di farsi sacerdote e dedicare la propria vita, sebbene con scarso successo ovviamente, alla conversione degli ebrei, a partire, come giusto, dalla sua stessa famiglia.
Solo un anno dopo, nel 1859, una delegazione di notabili israeliti incontrò Edgardo per portargli il sostegno del mondo giudaico, ma si sentirono rispondere : «Non sono interessato a cosa ne pensa il mondo». Ovviamente si sparse la voce di una conversione forzata, ma la realtà è che, come detto, una volta cresciuto, il Mortara, pur avendo ottenuto il permesso di rivedere la sua famiglia e stare un certo periodo di tempo con i suoi, scelse liberamente, da uomo ormai adulto, di restare cattolico e anzi di farsi sacerdote. Nel suo memoriale, scritto proprio come testimonianza a favore di Pio IX per il processo di beatificazione, annotò: «Allorché io venivo adottato da Pio IX tutto il mondo gridava che io ero una vittima, un martire dei gesuiti. Ma ad onta di tutto ciò, io gratissimo alla Provvidenza che mi aveva ricondotto alla vera famiglia di Cristo, vivevo felicemente in San Pietro in Vincoli e nella mia umile persona agiva il diritto della Chiesa, a dispetto dell’imperatore Napoleone III, di Cavour e degli altri grandi della terra. Che cosa rimane di tutto ciò? Solo l’eroico “non possumus” del grande Papa dell’Immacolata Concezione».
Nel 1867 Edgardo entrò nel noviziato dei Canonici Regolari Lateranensi. Dopo la Presa di Roma i genitori, approfittando del cambiamento radicale della situazione a Roma, tentarono nuovamente di riavere il figlio, ma fu Edgardo a rifiutare ancora di tornare a casa. Per sottrarsi a ulteriori sollecitazioni, egli infine lasciò Roma e si recò prima in Tirolo, poi in Francia, dove venne ordinato prete all’età di ventitré anni adottando il nome di Pio, proprio in onore del pontefice che lo aveva accolto alla salvezza. Nel 1897 si recò negli Stati Uniti, ma l’arcivescovo di New York fece sapere al Vaticano che si sarebbe opposto ai tentativi di Mortara di evangelizzare gli ebrei in terra americana e che il suo comportamento metteva in imbarazzo la Chiesa (un vero prete dei nostri giorni vissuto con un secolo di anticipo). Mortara morì l’11 marzo 1940 a Liegi dopo aver passato diversi anni in un monastero.
Nella sua memoria a favore della beatificazione di Pio IX ricorda che dopo il suo sequestro da parte delle guardie pontificie ricevette la visita dei suoi genitori, ma che non desiderava rientrare in famiglia in quanto ormai toccato dalla grazia soprannaturale che lo tratteneva; quando vide i genitori si spaventò al punto di rifugiarsi dietro la tonaca di un sacerdote.

Alcune necessarie e scomode considerazioni
Riassunta in breve la parabola di quest’uomo, occorre fare qualche riflessione, per quanto veloce, sull’intera vicenda, che, come si può capire facilmente, investe tanto il piano storico quanto quello teologico, al fine di comprendere le ragioni di tali scelte.
Il primo pensiero va alla Morisi: una ragazzina di quattordici anni si assume la responsabilità della decisione di battezzare un neonato ebreo in pericolo di vita, per di più figlio dei suoi datori di lavoro. La cosa ha dell’incredibile, non perché, come si può pensare oggi, sia in sé un atto di mancata tolleranza e rispetto, ma al contrario, perché ci mostra l’incredibile profondità di fede che si poteva trovare ancora nel XIX secolo perfino nei figli del popolino ignorante, perfino in una domestica quattordicenne. Questa ragazza decide, come ella stessa dichiarò, di battezzare il bambino per non farlo finire nel limbo per tutta l’eternità e per dargli invece la possibilità della conquista del paradiso. In pratica, nell’ottica della fede e della teologia cattolica di sempre, gli ha fatto il più grande dono che si possa mai fare al prossimo, e certamente il Mortara questo lo comprese bene. Nell’ottica odierna, e non solo laica, avrebbe operato invece un intollerabile e antidemocratico sopruso. Ma la Morisi non era figlia della Chiesa dei nostri giorni.
Il secondo pensiero va ovviamente a Pio IX e all’allora Sant’Uffizio, ed è direttamente collegato al punto precedente. Siamo ancora in una Chiesa tradizionale. Abbiamo ancora a che fare con un clero che crede veramente nella religione cattolica e nei doveri che il clero stesso ha per la salvezza della anime: “Salus animarum suprema lex”, cui tutto è subordinato, ma proprio tutto. Se si è fatto quello che si è fatto, non è solo perché lo imponeva la legge dello Stato Pontificio, ma perché si amava l’anima di quel bambino, sebbene ciò sia difficile da comprendere per l’uomo odierno, non solo per il non cattolico o laico che sia, ma anche per gli stessi cattolici, anche i più sinceri, imbevuti come sono sia di tolleranza democratica e laicista che dello “spirito del Concilio” Vaticano II, vittime delle derive teologiche ed ecumeniche del postconcilio. In pratica, Pio IX ha fatto quello che ha fatto con determinazione perché voleva la salvezza dell’anima di quel figlio di Dio, e lo ha fatto anche a costo di dover toglierlo ai propri genitori e di scatenare l’opinione pubblica mondiale contro di lui proprio nel momento più delicato della storia dello Stato della Chiesa (siamo appunto nel 1858). Stiamo dicendo che… Pio IX fu mosso da carità sincera, sebbene ciò possa scandalizzare qualche lettore o muovere all’ironia. E la carità consisteva nella volontà ferma di non chiudere a una creatura di Dio, che era stata battezzata, le porte del paradiso.
Terzo punto, quello più politico. Da sempre il mondo laicista, anticattolico, ebraico, massonico e, ovviamente, modernista e progressista, ha utilizzato la vicenda Mortara per accusare la Chiesa, e specie quella preconciliare, di praticare le conversioni forzate. Questa è un’autentica calunnia e pure infame. Quanto è accaduto al Mortara è accaduto solo a lui e solo perché era stato battezzato. La legge dello Stato Pontificio vietava assolutamente le conversioni forzate, da sempre, perché da sempre la Chiesa, i papi, avevano proibito tale pratica. Questo è un punto chiave: lo stesso Mortara aveva sette fratelli, a nessuno di loro è accaduto nulla. Ma, ovviamente, al di là del Mortara, tutte le decine di migliaia di bambini ebrei nati sotto Pio IX e sotto tutti i papi precedenti di tutti i tempi, non hanno mai subito nessun rapimento e nessuna conversione forzata (altrimenti, come è evidente, non vi sarebbero stati più ebrei nello Stato della Chiesa…). Il punto è che Edgardo era stato battezzato. Edgardo, suo malgrado, o meglio, malgrado i suoi genitori, era cattolico. In quanto tale, non poteva, non solo per la legge che comunque era evidentemente conseguenza di una visione teologica della società, ma per la teologia e la fede cattolica, crescere da non cattolico, nella fattispecie poi da non cristiano. È paradossale, ma la scelta radicale di farsi sacerdote e dedicarsi alla conversione degli ebrei e la gratitudine verso il papa che lo ha strappato ai genitori stanno a dimostrare inequivocabilmente che il Mortara, a differenza dei nostri cattolici attuali, aveva perfettamente compreso l’immenso dono che aveva ricevuto.
Quarto punto. Sembra superfluo o una sottigliezza, ma non lo è. Questa vicenda dimostra categoricamente che il movente su cui si fondava tale legge e la decisione di Pio IX di aderirvi fino in fondo, al contrario di quanto alcuni calunniatori di professione hanno dichiarato (e come verosimilmente farà Spielberg), non aveva nulla di “razzista” (ricordiamoci che è proprio con l’illuminismo, ma soprattutto con il positivismo di metà Ottocento che si diffondono i germi del razzismo biologico di cui poi conosciamo gli sviluppi): per la Chiesa un ebreo battezzato è cattolico esattamente come qualunque altro essere al mondo. Anzi, va maggiormente tutelato, come fu fatto con Mortara. Anche questo è paradossale, ma ancora una volta è proprio la carità il movente di una tale radicale scelta.
So bene che digerire questo discorso è difficilissimo oggi, anche, come detto, per gli stessi cattolici di sincera fede ma imbevuti dal cambiamento intercorso nello stesso clero negli ultimi decenni. Ma tutti sappiamo bene – anche se quasi nessuno all’atto pratico applica questa ovvia e certissima norma – che ogni evento storico non può essere giudicato con gli occhi degli uomini che vivono secoli dopo, ma occorre sforzarsi di giudicare con la mentalità degli uomini che vissero in diretta e da protagonisti l’evento in questione. E, nella fattispecie di questa storia, ciò che rimane è che la ragazzina quattordicenne e uno dei più grandi pontefici della storia della Chiesa erano mossi dalla stessa fede, dalla stessa conoscenza teologica (elementarissima nel primo caso, elevatissima nel secondo, ma i cui fondamenti erano comuni) e della stessa concezione della carità. Ovvero, che, come detto, “Salus animarum suprema lex”. E questa stessa concezione, appartenente alla Chiesa di sempre e da sempre, si fonda su due principi, oggi spesso misconosciuti ma non certo per questo falsi o mutati: 1) che ogni uomo è sulla terra per meritare il paradiso, ma deve guadagnarselo e ci sono delle regole per poterlo ottenere ed evitare la dannazione eterna; 2) che al di fuori della Chiesa non v’è salvezza (“Extra Ecclesiam nulla salus”) e quindi le altre religioni non salvano e chi le avvalora non agisce secondo misericordia. Quella vera.
Principi che non piacciono più oggi, e anzitutto ai cattolici, ma che per gli attori di quei giorni (la domestica, il papa, l’ebreo battezzato) erano l’essenza profonda della loro fede. La cosa ci può essere gradita o meno, ma questa è la realtà.
Ed è una realtà che ci fa capire pienamente, se siamo in buona fede, che ciò che differenzia i cattolici odierni da quelli del passato è anzitutto una previa valutazione di valore e di valori: per gli odierni, asserviti pienamente all’antropocentrismo della modernità, viene prima il diritto alla libertà e all’uguaglianza di ogni uomo; per i cattolici del passato, anche per gli ultimi lontani epigoni della società teocentrica medievale, veniva prima la necessità della salvezza eterna. Può sembrare molto banalizzante quanto appena affermato, eppure è la chiave di tutto: perché molti cattolici odierni, e in primis tra il clero, non credono più al giudizio di Dio e al rischio della dannazione eterna, in nome di una del tutto fittizia e ad arte “costruita” misericordia dai presupposti totalmente mondani e immanenti, mentre i cattolici del passato credevano fermamente a una Misericordia che trovava proprio nella Giustizia divina la propria assoluta perfezione e di cui i sacramenti della Chiesa – e in primis il battesimo che rende cattolici e figli della Chiesa stessa ­– erano conditio sine qua non.
In fondo, anche il caso Mortara ci può aiutare a compiere la nostra scelta di campo.

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